martedì 2 giugno 2009

Star Trek




“Galoppare nelle galassie è un gioco da giovani”, risponde l’ammiraglio James T. Kirk, fintamente rassegnato alla scrivania, a un dottor McCoy che gli aveva chiesto se non fosse più semplice far governare l’Enterprise a un equipaggio esperto (leggi: la vecchia guardia) invece di affrontare continui danni alle strumentazioni dovuti al test della Kobayashi Maru, irrisolvibile esame atto a testare le capacità decisionali degli aspiranti capitani di navi stellari.
Accadeva in Star Trek 2 – L’ira di Khan, uno dei lungometraggi meglio riusciti dedicati al mondo partorito per la televisione (1966-1969, 79 episodi) da una lucida intuizione di Gene Roddenberry. Oggi, dopo 10 pellicole per il grande schermo, spin-off per la Tv - dove si conta persino una riduzione a cartoni animati - ed espugnati i restanti media a disposizione con romanzi, fumetti, videogiochi e quant’altro, J.J. Abrams risolve alfine di non contraddire Kirk e accomodarlo sulla poltrona che gli è più congeniale, quella del comando, e di fargli ordinare: “Propulsori avanti tutta!” con il tono di voce non incrinato dal numero di compleanni.
Autorità di primo piano nel campo della serialità televisiva per aver dato il la a titoli quali Lost, Felicity e Alias, e non sconosciuto al bianco telone, oltre che per trascorsi da sceneggiatore, anche per aver tenuto la barra di comando della terza missione impossibile di Tom Cruise e per l’ideazione di quel Cloverfield che tanto ha fatto tremare e nauseare le platee, causa il girato tutto in soggettiva del cameraman in fuga dalla furia distruttrice di un parente di Godzilla, Abrams, nell’affrontare l’undicesimo capitolo di una delle serie di fantascienza più amate di sempre, affida a un trentenne Kirk orfano di padre e in perenne rotta con il mondo, fortemente indeciso circa la propria iscrizione all’Accademia della Flotta Stellare, incoraggiata dal capitano dell'Enterprise Christopher Pike, e che stringe fra le dita, inclinato verso il basso, un modellino di quella gloriosa astronave lasciandone scivolare via la polvere, una precisa dichiarazione d’intenti, espressa con il ricorso a una figura narrativa fra le più usuali nelle avventure di James Tiberius Kirk e soci come il viaggio nel tempo, mediante l’irruzione dal XXIV secolo di una nave spaziale con equipaggio romulano in cerca di vendetta per il loro pianeta natale, Romulus, ridotto in cenere da una supernova che deflagra prima del tempo previsto dall’ambasciatore Spock per poterla fermare con una inoculazione di materia rossa.
Abrams ha affermato a ogni anteprima per la stampa e per il mercato della pubblicità di alcuni segmenti del film di non essere un fan di Star Trek, e il giocare con la porta del tempo gli consente così impennate di rotta epocali (si veda il destino di Vulcano, pianeta di Spock) e intriganti variazioni sul tema, la più 'sconvolgente' delle quali coinvolge ancora il vulcaniano dalle orecchie a punta, qui più vulnerabile alle lusinghe della sua metà umana (per parte di madre) a scapito della proverbiale mancanza di emozioni che, favorendo il ricorso alla logica, contraddistingue fortemente la sua razza. Se poi registriamo un tenero sentimento d’amore fra l’alieno e il tenente Uhura, davvero questo Star Trek riscrive la saga dalle fondamenta fino a illuminare lo schermo di un numero zero a tutti gli effetti, e preparando tutta una nuova generazione di spettatori all’imbarco per una seconda missione quinquennale “fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima”.
Le affinità del manifesto promozionale con quello del capostipite cinematografico di Robert Wise del 1979 esaltano differenze che si sposano gioiosamente con la tradizione, tratto che distingue un’opera pienamente godibile sotto tutti gli aspetti realizzativi e appena forse compromessa da inserti alla Guerre Stellari che, pur fortemente voluti dal regista, non sempre ruotano in sincrono con l’epica dell’universo di Roddenberry.
C’è pero qualcosa che, a voler essere pignoli, non quadra durante la visione: perché, ad esempio, quando ci avviciniamo per la prima volta all’Enterprise ancorata nell’hangar spaziale non viviamo quella commozione che debordava dai fotogrammi di Wise? Perché una serpeggiante impressione di freno a mano tirato, volendo esagerare e nonostante l’emozione di ritrovare lo Spock di sempre, Leonard Nimoy, che lo sconvolgimento temporale permette di apprezzare in un cameo più che generoso?
Ma certo, è chiaro: il filtro fra il Mito e il credo personale: solo un non trekker come Abrams poteva simulare (sì, proprio così: simulare) il distacco necessario a sciogliere poi i cuori con uno dei 'colpi bassi' più imperdonabili che mai se fosse venuto a mancare: l’immortale “Spazio, ultima frontiera…” che apre gli episodi Tv, modulato stavolta dalla voce di Nimoy, che, prima dei titoli di coda, accompagna le inquadrature dell’Enterprise, pronta a spiccare il balzo interstellare dopo aver finalmente riunito l'equipaggio storico ai comandi del fresco di nomina capitano Kirk e “diretta all'esplorazione di nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà…”.
Bentornati, amici. Lunga vita e prosperità.