lunedì 10 agosto 2009

Alta tensione


In una rinomata clinica psichiatrica arriva, fresco di nomina a direttore, il dottor Robert Thorndyke, psichiatra di fama mondiale insignito anche del premio Nobel.
I pazienti dell’istituto appartengono tutti al bel mondo e le succose rette fomentano gli appetiti di medici che, sorvolando allegramente sul concetto di etica professionale, si coalizzano con successo per nascondere al mondo l’eventuale guarigione dei loro assistiti.
Il neodirettore non ci mette molto a capire che l’ambiente che lo circonda nasconde più di qualche magagna e, aiutato dall’autista dell’ospedale e dalla figlia di uno dei ricoverati, cerca di ristabilire, peraltro gravato da un’accusa di omicidio diabolicamente costruita a tavolino, una legalità che pare ormai versare in coma irreversibile.
Dedicato al maestro della suspense Alfred Hitchcock, come avverte la scritta prima dei titoli di testa, Alta tensione si rivela una parodia delle opere del regista inglese ammirevolmente non sbilanciata sul versante del 'vilipendio', grazie alla conduzione di un Mel Brooks misurato come non sempre altrove e qui impegnato anche davanti la macchina da presa nel ruolo di Thorndyke. Influenzata in particolare dalle suggestioni de La donna che visse due volte (Vertigo, in originale) per via dell’acrofobia – ossia la paura delle altezze – che menoma il quotidiano vivere di Thorndyke, la pellicola di Brooks patisce qualche gag non funzionale al contesto ma è solo un peccato veniale: la trama, dopo una partenza non proprio irresistibile, si segue con piacere, alternando il gusto per l’assurdo a momenti di irresistibile umorismo (che contemplano anche il cinema nel suo farsi) oltre a ineccepibili riproposizioni quasi frame to frame di momenti cult della filmografia hitchcockiana.

Regia: Mel Brooks. Interpreti: Mel Brooks, Madeline Kahn, Cloris Leachman.
Titolo originale High Anxiety. Genere: Comico. Durata: 94 min. Produzione: USA 1977.

martedì 4 agosto 2009

Milano calibro 9


Figura di assoluto prestigio nel (ei fu) panorama del cinema italiano di genere, Fernando Di Leo, ispirato da alcuni racconti di Giorgio Scerbanenco, firma con Milano calibro 9, che con La mala ordina e Il boss compone la celebre “Trilogia del milieu”, quello che da più parti viene considerato il suo capolavoro, e che un cultore come Quentin Tarantino esalta, forse con una punta di esagerazione o forse no, come “Il più grande noir italiano di tutti i tempi”.
Certo è che la storia di Ugo Piazza, scrupoloso manovale del crimine sul libro paga dell’ "Americano” - temutissimo boss che lo ritiene responsabile della sparizione di trecentomila dollari frutto dell’ultimo scambio illegale di denaro prima che il suo sgherro decidesse, a suo giudizio, di farsi catturare come un dilettante dopo una rapina e di assicurarsi così una vacanza di tre anni, con rigoglioso avvenire, a spese dello Stato - si traduce in esaltante visione (valgano per tutti i minuti iniziali, commentati unicamente da inquadrature calibrate come tocchi di bisturi che inseguono la montante musica composta da Luis Bacalov), mai avara di colpi di scena, navigata da squarci di violenza non appannati dal fare cassetta e accarezzata da un insopprimibile romanticismo di fondo.
L’interpretazione di Gastone Moschin nei braccati quanto ostinati panni di Ugo Piazza, poi, è semplicemente di quelle che possono consacrare una carriera.

Regia: Fernando di Leo. Interpreti: Gastone Moschin, Barbara Bouchet, Mario Adorf. Genere: Poliziesco. Durata: 97 min. Produzione: Italia, 1972.