martedì 21 dicembre 2010

La banda dei Babbi Natale



Mirano alto Aldo, Giovanni e Giacomo per riconquistare agli occhi del pubblico e della critica una credibilità cinematografica incrinatasi non poco con la prova natalizia del 2008 Il cosmo sul comò. Prima dei titoli di testa, infatti, lo schermo si vede occupato nella sua interezza da una palla di vetro che fa scendere neve su una riproduzione dorata del Duomo di Milano, e qui la memoria non può che scivolare al celebre avvio di Quarto potere, con quella sfera e quella baita assediata da un turbinio di soffici fiocchi bianchi, simboleggiante l’infanzia strappata via a colpi di carta bollata a Charles Foster Kane. Ed è sulla giovinezza e sugli affetti perduti che si articola sostanzialmente questo La banda dei Babbi Natale, che prende le mosse dall’arresto, la sera della vigilia, del trio di protagonisti, sorpresi in flagranza di reato mentre, con indosso costumi da Babbo Natale, si danno alla scalata di un palazzo. Tradotti in questura, si daranno un gran daffare per chiarire a un’ispettrice - costretta a trattenersi in servizio, con buste della spesa cariche in dotazione, causa febbre a 40°del collega di turno (con certificato proveniente da una località di villeggiatura) - l’equivoco in cui sono caduti gli agenti, ripercorrendo le proprie vite fino a quel momento: Aldo convive burrascosamente con una donna che gli rimprovera il vizio delle scommesse e il suo essere un bambino mai cresciuto, oltre che disoccupato di lungo corso con scarsa inclinazione alla ricerca di un lavoro che non sia quello ’ideale’; Giovanni è un veterinario dal prestigio più esibito che reale, utilizzatore abituale del bagno di un autogrill, dove si cambia prima di lasciare l’Italia per la Svizzera, atteso da una ragazza, di facoltosa famiglia, che conta i giorni che la separano dal matrimonio, inconsapevole del fatto che l’uomo ha già una consorte a Milano; Giacomo, medico affermato, non riesce a dimenticare la moglie defunta, con conseguente difficoltà ad aprirsi all’amore verso una collega.
La regia di Paolo Genovese ben asseconda una struttura alla Quel pomeriggio di un giorno da cani e raccoglie il plauso anche per non disperdere, nel generale divertimento, diramazioni più riflessive veicolate da quella palla di vetro con il Duomo innevato.
Sempre affidabile Angela Finocchiaro, qui nel ruolo del sensibile funzionario di polizia che si fa carico delle confessioni a cuore aperto dei tre ‘malviventi’ seduti di fronte a lei ed esilaranti le apparizioni di una Mara Maionchi in versione ‘picchiatutto’ e di un Cochi Ponzoni dalla batteria del pacemaker affidata alle cure di un dottor Frankenstein in erba.

Regia: Paolo Genovese. Interpreti: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Angela Finocchiaro. Genere: Commedia. Durata: 100 min. Produzione: Italia 2010


Originariamente pubblicato su Il Giornale di Puglia in data 21 dicembre 2010

sabato 11 dicembre 2010

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni


La sagace penna di Woody Allen torna ad arricchire il cartolaio consumando fogli su fogli nei riguardi di una Londra che per la quarta volta firma il contratto che la vincola a mettere su il palcoscenico ideale, dopo i brillanti risultati ottenuti con Match Point e Scoop, qualcosa in meno con Sogni e delitti, a rappresentare il nuovo atto della commedia umana che l’instancabile 75enne regista newyorchese continua a elaborare da una quarantina d’anni a questa parte.
Su uno spunto di partenza dato da una frase nel repertorio delle cartomanti: "Incontrerai uno sconosciuto alto e bruno" per non fare pesare i soldi spesi, seguiamo le stropicciate esistenze di Helena - sedotta dalle lusinghe di una veggente, appunto, dopo che il marito Alfie, sorpresosi una notte a pensare all’eternità e lasciatosi prendere da panico smodato, decide di riacciuffare la gioventù spedendo la chiave di casa alla rottamazione per arrivare infine a contrarre matrimonio con Charmaine, un’attricetta che fino a qualche tempo prima arrotondava con il mestiere e che, oltre a una testa che definire vuota sarebbe fin troppo generoso, non si impegna granché a far sì che il passato non torni a farsi vivo - e di sua figlia Sally, il cui ménage con Roy è messo a dura prova dall’incapacità di questi di dare seguito a un fortunato romanzo di esordio, oltre che dal voler rimandare troppo a lungo la scelta di rapporti sessuali senza protezione. E certo la cocciutaggine nel non voler soffiare via la polvere a una laurea in medicina non aiuta.
Due donne forti, Helena e Sally; ma di una forza che in un mondo perfetto avrebbero in orrore: l’una che la alimenta con un mazzo di carte assurto a dogma (lacerante e indimenticabile il primissimo piano di Sally alla constatazione che la madre è definitivamente perduta), l’altra con la sofferta accettazione che solo il divorzio può (forse) ricucire gli strappi di una vita spesa a incoraggiare il marito nonostante tutto e a riservare un posto di secondo ordine alle aspirazioni personali: leggi laurea in Storia dell’arte e desiderio di aprire una galleria, che avrebbe tutto da guadagnare da un fiuto come pochi nello scoprire nuovi talenti.
In mezzo: tradimenti prima solo immaginati e poi consumati (un’affascinante dirimpettaia di Sally e Roy); soltanto vagheggiati (Sally nei confronti di Greg, suo datore di lavoro presso una delle gallerie d’arte più quotate in città: commovente - forse la scena più bella del film - la gioia della donna nel provare un paio di costosi orecchini che Greg vuole regalare alla moglie e per i quali ha bisogno di un parere femminile); un crimine fra i più vigliacchi.
Commentato da una non invadente voce narrante, Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni è una pellicola di ottimo intrattenimento alla quale spiace tuttavia non riconoscere piena soddisfazione: plasmati da Allen, certo, i personaggi, anche quelli di contorno, non possono non lasciare tutti il segno; il racconto oscilla senza fratture nette fra una prima parte più leggera e una seconda dai toni più drammatici, quando non tragici, e le battute divertenti non mancano, anche se francamente si possono contare sulle dita di una mano. Quello per cui ci si rammarica, e che di fatto inficia l’opera nel suo complesso, è la mancanza di un finale alle storie, umanamente appassionanti, di Alfie (che subirà la definitiva umiliazione nella decisione di far effettuare il test del DNA all’agognato figlio maschio), di Sally e soprattutto di Roy. Per loro nessuna illusione, solo scatole e scatole di medicine.

Regia: Woody Allen. Interpreti: Antonio Banderas, Naomi Watts, Anthony Hopkins, Josh Brolin, Gemma Jones, Freida Pinto, Lucy Punch. Titolo originale: You Will Meet a Tall Dark Stranger. Genere: Commedia romantica. Durata: 98 min. Produzione: USA, Spagna 2010

Originariamente pubblicato su Il Giornale di Puglia in data 11 dicembre 2010

domenica 21 febbraio 2010

Police Story


Il signor Chu è il più potente trafficante di droga di Hong Kong. Messi fuori combattimento i suoi uomini durante un’operazione di polizia e infine arrestato dall’ispettore Chan Ka Kui, la sola possibilità di garantirgli un lungo soggiorno nelle patrie galere è quella di rimettere in libertà la sua segretaria, Selina, e farla testimoniare contro di lui. Inutile a dirsi, sarà Chan a doversi fare carico della protezione del prezioso, e anche grazioso, teste.
Diretto da Jackie Chan, Police Story srotola fotogrammi ad alto tasso di partecipazione emotiva che scolpiscono sequenze che definire rocambolesche potrebbe non rendere assolutamente l’idea (splendida, senza mezze misure, la disintegrazione a colpi di automobili della baraccopoli a inizio film) e che rendono gloria alla storia del cinema d’azione con una figura di poliziotto, o meglio, di attore-regista, la cui temerarietà amoreggia con il sovrumano. Sì, attore-regista più che poliziotto: è infatti noto che Jackie Chan si mette in gioco in prima persona nei riguardi delle condotte più pericolose - tanto da conservare un Guinness dei primati per “Maggiori stunts fatti da un attore vivente” (fonte Wikipedia) –, e qui, nei panni dell’intrepido detective Chan, si esibisce in almeno due situazioni limite: l’inseguimento a piedi di un autobus con arrembaggio favorito dal manico di un ombrello e la discesa di cinque (se la dinamicità dell’azione non inganna lo sguardo) piani di un centro commerciale abbracciato a un palo fra cascate di scintille di un impianto di illuminazione trattato come peggio non si potrebbe (con buona pace, in quest’ultimo frangente, del pur ragguardevole Schwarzenegger di Commando).
Digressioni umoristiche da torte in faccia (tre, per la precisione, di cui due da parte della fidanzata May, subite dal risoluto funzionario in un arco di pochi minuti) non indeboliscono più di tanto l’avventuroso intreccio, riuscendo invece a maggiormente valorizzare una furia vendicatrice finale che non è neanche il caso tentare di descrivere.

Regia: Jackie Chan. Interpreti: Jackie Chan, Brigitte Lin, Maggie Cheung, Chor Yuen.
Titolo originale: Ging chaat goo si. Genere: azione. Durata: 101 min. Produzione: Hong Kong, 1985.

giovedì 14 gennaio 2010

Galaxy Quest


Per il gruppetto di attori che fino a una ventina di anni prima, tra la fine dei ‘70 e l’inizio degli ‘80, faceva chiudere in positivo i bilanci della rete che aveva in palinsesto quella gallina dalle uova d’oro che rispondeva al nome di Galaxy Quest - una serie di fantascienza che narrava le imprese, mai visitate dalla sconfitta, dell’equipaggio dell’NSEA-Protector - sono tempi assai duri: le luci della ribalta si accendono ormai solo per disegnare ombre sempre più diafane della gloria che fu su palchetti accomodati in occasione di apparizioni pubblicitarie o deliranti convention di fan, di fatto ultimi 'assi nella manica' per mettere insieme il pranzo con la cena. La frustrazione è poi acuita dal non riuscire, per nessuno di quegli artisti, a lavorare più da solo, con susseguenti piccole grandi invidie nei confronti di Jason Nesmith, ossia l’indomito capitano Taggart, l’unico che, talvolta, strappa qualche contratto soltanto a propria firma.
Ma la stella della celebrità si è stufata di stare a guardare: Galaxy Quest mandava in orbita gli ascolti non solo per modo di dire, dal momento che le puntate vengono captate da una razza aliena di autodistruttiva mitezza, i Thermiani, e lette come dei documentari atti ad autorizzare il reclutamento del personale di bordo della NSEA-Protector per porre fine alla tirannia dello spietato Sarris. Visto lo stato delle cose, e superato un primo più che comprensibile momento di 'sfasamento' nel passaggio da un set di compensato alla plancia di un astronave costruita secondo l’analisi scrupolosa di quei video provenienti da un mondo ancora libero, i protagonisti della serie si ritrovano così a fare tesoro dei tanti copioni mandati giù a memoria magari senza troppa convinzione per sopravvivere a bombardamenti a colpi di laser e mettere il sale sulla coda a extraterrestri ributtanti quanto molto poco socievoli.
Dean Parisot ha il pregio di non sciupare un soggetto accattivante e avente a bersaglio principale il mito, e il culto, di Star Trek imboccando la (apparentemente) comoda scorciatoia della parodia. Non un Balle Spaziali parte seconda, dunque, ma più un Tre Amigos nello spazio per una pellicola divertente e con parentesi di riflessione – oltre che di dramma – che una direzione accorta incastona senza che passino per posticce.
Attori convinti e convincenti, con menzione particolare per una Sigourney Weaver che tira fuori dall’armadietto una mise che guarda bene un periodo di licenza in lavanderia per la canotta impiastricciata di sudore e sangue del tenente Ellen Ripley.

Regia: Dean Parisot. Interpreti: Tim Allen, Alan Rickman, Sigourney Weaver.
Titolo originale: Galaxy Quest. Genere: Commedia. Durata: 102 min. Produzione: USA 1999.