venerdì 22 maggio 2009

La Maschera del demonio


Anno 1960. Nei cinema i fasci di luce dei proiettori riversano sul pubblico le inquietanti fasi di un rito tristemente noto nei tempi passati: l’esecuzione di una donna rea di avere intrattenuto rapporti con Satana. Siamo nella Moldavia del 1600: Asa, ritenuta una strega in odore di vampirismo, viene sottoposta dal grande inquisitore, nello specifico suo fratello, che la ripudia, al supplizio della Maschera del demonio, orribile strumento di morte che ha le fattezze di una faccia di satanasso irta di grossi chiodi che viene conficcata nel volto della sventurata vittima. Le fiaccole e i fulmini illuminano con guizzi spettrali la macabra scena, la musica monta e qui Mario Bava, al suo esordio nella regia, piazza un magistrale coup de théâtre: la soggettiva di Asa, che guarda avvicinarsi minacciosamente le punte aguzze al suo viso. Lo spettatore viene così avvolto nella spirale del voyeurismo più estremo: lo spettacolo della propria morte. I gemiti di sofferenza fuori campo della donna si fanno insopportabili e la decisa mazzata che il nerboruto boia piazza alla maschera la libera - ci libera - finalmente dalla sofferenza. Il sangue sgorga copioso dalle feritoie all’altezza degli occhi, del naso e della bocca. Titoli di testa, ed è già leggenda.
Ispirato al racconto Il Vij di Nikolaj Gogol, La Maschera del demonio è senza dubbio uno dei grandi classici del cinema horror italiano. La storia della disgraziata Asa, che in punto di morte giura vendetta sulla testa dei discendenti della sua famiglia, i nobili Vajda, con il tempo non ha perso nulla del suo fascino e la sequenza, curata dallo stesso Bava per gli effetti speciali, della ricomposizione del volto di Asa prima della sua resurrezione resta ancora oggi elegantemente ripugnante.
Acuta intuizione da parte del regista è stata anche quella di ingaggiare come protagonista quella che poi diverrà l’icona della paura sugli italici schermi: Barbara Steele, viso diafano e figura oppressa da angoscia perenne nei panni della principessa Katia, pronipote e copia carbone di Asa; pregna di erotismo sottocutaneo, tanto da fare letteralmente esplodere la tomba che la trattiene legata all’eternità, quando incarna la strega vampira. Cinema d’alta scuola, che si nutre di suggestioni oniriche (la carrozza al ralenti nella nebbia), che vira nella fiaba (la bambina nel bosco che trasuda minaccia da ogni ramo sembra rimandare a Biancaneve, così come la Maschera del demonio riflessa nel fondo di un bicchiere) e che appassiona senza il ricorso a inutili ridondanze.

Originariamente pubblicato, fatte salve alcune modifiche, su http://www.cineboom.it/

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