venerdì 8 maggio 2009

La Mummia - La Tomba dell'Imperatore Dragone



Un silenzio di tomba protrattosi per sette lunghi anni, alle orecchie del fan poteva solo risuonare come la fine di quel tutto sommato gradevole ripescaggio di una delle figure più magneticamente terrorizzanti del cinema horror dei gloriosi anni Trenta, il redivivo gran sacerdote Im-Ho-Tep, reso immortale nel 1932 dall’interpretazione di un Boris Karloff che, l’anno prima, aveva già consegnato ai posteri la maschera e le movenze di Frankenstein.
Declinando i chiaroscuri e l’espressività essenziale del capolavoro di Karl Freund, La Mummia, nei dinamismi e nei siparietti sciogli tensione delle pellicole di Indiana Jones, nel 1999 l’agile Stephen Sommers tornò infatti a srotolare le bende che avevano avvolto l’egizio, condannato per sacrilego amore a sentirsi deporre nel sepolcro, per agitarle contro l’ex legionario Rick O’Connell e la bella archeologa Evelyn ne La Mummia, primo tonitruante capitolo di un dittico che, insieme a La Mummia - Il ritorno (2001), si fece portabandiera della nostalgia per la prolungata assenza dagli schermi del professore con frusta e cappello inventato da George Lucas.
Ora, escludendo dal conto Il re scorpione, spin-off del 2002 la cui muscolare regia di Chuck Russell frena la sensazione di mera operazione raschia barile, grazie a un delizioso effetto madeleine che rituffa nelle cartapeste di Ercole e compagni, questa ormai insperata terza impresa degli O’Connell (gia sposatisi con pargolo di otto anni nel secondo episodio), La Mummia - La Tomba dell’Imperatore Dragone, giunge a dare manforte al sempre insopprimibile anelito alla libertà dalle preoccupazioni di ogni giorno già gratificato qualche tempo prima, dopo ventennale afflizione, dal ritorno col botto dell’avventura old style, sebbene chiazzata da ombre di contemporanee inquietudini, firmata Indiana Jones e il regno del Teschio di Cristallo.
Nell’antica Cina, l’invincibile e spietato re Han ha due obiettivi precisi: diventare imperatore e ottenere la vita eterna. Al potere supremo pensa la sua armata, alla perpetuità la strega Zi Juan, che chiede in cambio di poter vivere accanto al generale Ming, del quale si è innamorata.
Ingannata però con una falsa promessa, Zi Juan getta una maledizione sul sovrano, che si trasforma in una statua d’argilla insieme al suo esercito di diecimila guerrieri.
Nel 1947, l’archeologo Alex O’Connoll, figlio di Rick ed Evelyn, riporta alla luce il sarcofago di Han. Puntuale, alla incommensurabile scoperta scientifica fa da contraltare il solito drappello di fanatici che hanno atteso il ritorno dell’imperatore, che, svegliato da Rick, motivato da una pistola puntata contro sua moglie, non tarda a riappropriarsi dei millenni perduti a capo di un’intera legione di morti viventi.
Riservatosi il ruolo di produttore esecutivo, Stephen Sommers grazia l’Egitto e dissotterra il caos in terra asiatica per mano del funambolico Rob Cohen, che fa “recitare” persino il logo della Universal prima di aprire con un wuxiapian, il genere “cappa e spada” cinese, che ha il solo difetto di durare meno di dieci minuti prima di far dissolvere il mausoleo con il marziale volto dell’imperatore su quello da bambinone di Rick O’Connell, che mettendo da parte la canna da pesca a favore di una più sbrigativa pistola, si esibisce in un numero comico che riporta il film sui consueti binari 'mummieschi', vale a dire gag di immediato impatto, battute più o meno spiritose e azione a rotta di collo al servizio di una drammaturgia che vede come polvere negli occhi qualsivoglia brama di impegno.
Questa Tomba dell’Imperatore Dragone, poi, fatta eccezione per l’incipit, sigilla quelle aperture all‘ambigua seduzione del terrore che pure serpeggiava nei due lavori che l‘hanno preceduta, e 'scrivendo la parte' per tre abominevoli uomini delle nevi e un drago tricefalo, si pone a ennesimo modello di un universo immediatamente pronto a essere messo in discussione da una ben calibrata manovra del joystick.
Divertimento più che assicurato, quindi, per chi pensa in Playstation; per tutti gli altri, un suggerimento per reprimere qualche sbadiglio potrebbe essere quello di intervallare la visione valutando come assolutamente non controproducente per la carriera il mancato giro sulle montagne russe di Rachel Weisz nel ruolo, fin qui, di Evelyn.

Originariamente pubblicato, fatte salve alcune modifiche, sul quotidiano il Levante nel mese di ottobre 2008.

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