sabato 16 maggio 2009

L'incredibile Hulk



Accantonate le artisticamente più che valide, ma disastrose dal punto di vista degli incassi, ambizioni intellettuali e le ricercatezze formali dell’Hulk licenziato dal premio Oscar Ang Lee nel 2002, la Marvel, che con il coevo Iron Man ha imboccato con successo la strada della produzione, delibera di restituire verginità cinematografica a uno dei più preziosi tra i suoi fiori all'occhiello e affida il Golia verde all’estro e al dinamismo a 24 fotogrammi al secondo del francese Louis Leterrier, allievo fra i più capaci di Luc Besson.
Sin dai coinvolgenti titoli di testa, che narrano in una manciata di minuti la genesi ai raggi Gamma dell’emulo di mister Hyde, l’intento è palesemente quello di omaggiare la meraviglia e il pathos che hanno fatto la fortuna dell'omonima serie televisiva (1978-1982) interpretata da Bill Bixby nei tormentati panni del fisico nucleare Bruce Banner e dal culturista Lou Ferrigno, strabordante dai pantaloni strappati e sempre troppo corti del gigante in perenne arrabbiatura con il mondo.
Banner si è rifugiato da cinque anni in una favela brasiliana e qui prosegue le sue ricerche per sopprimere il mostro che gli lacera carne e vestiti ogni qualvolta si arrabbia o è in preda a forti emozioni. La vita scorre in qualche modo serena fra esercizi di respirazione e un lavoro presso una fabbrica di bibite. La parvenza di normalità è però destinata a dover tornare a fare i conti con la dura realtà di un uomo in fuga: lo scienziato si ferisce e una goccia di sangue va a infettare una bottiglia di un lotto destinato a New York. Qui, un anziano signore (Stan Lee, il benemerito “papà” di gran parte dell’universo Marvel, nella consueta apparizione in un cinefumetto da un personaggio da lui creato) beve e si sente inebriato da una forte scarica di energia.
Tanto basta per rimettere in pista il generale Ross e per ridestare il mai dimenticato amore tra Bruce e Betty Ross, figlia del soldato che ha fatto della cattura di Hulk a scopi militari la sua unica ragione di vita.
Occorre che lo si ammetta: dal trailer sembrava di dover assistere a una pura e semplice sequela di botte da orbi fra titani e a spari e ad esplosioni che, se da un lato fanno rintronare le orecchie, dall'altro lasciano libero il cervello di impegnarsi nella compilazione della lista della spesa per il fine settimana.
Fortunatamente, lo Studio offre a Edward Norton la possibilità di apportare modifiche alla sceneggiatura e questi, già regista e avvezzo, per sua natura, a questo tipo di incarichi, non si smentisce e scongiura una deriva eccessivamente adolescenziale. Oltre a offrire (dopo aver declinato a suo tempo l'offerta di Ang Lee) l’ennesima brillante performance nei panni di un Bruce Banner sempre più lucido circa la propria volontaria condizione di emarginato dal consesso civile, assemblea che, all’occorrenza, non si tira però indietro: in una delle scene più drammatiche vediamo lo scienziato, dopo una trasformazione, vagare sporco e seminudo in una strada intrisa di povertà del Brasile sulle note di The Lonely Man, il malinconico tema del serial tv. Si siede, spossato, ed è talmente malridotto da smuovere a elemosina una bambina. Che sicuramente non naviga nell’oro.
Louis Leterrier, che con Danny the Dog aveva già affrontato con furore cinetico stemperato da momenti di tiepida dolcezza il tema dell’uomo-bestia, realizza con L’incredibile Hulk un film che magari non sarà un capolavoro, ma che si staglia deciso nei suoi rimandi innanzitutto a King Kong, tanto da far presupporre un remake non dichiarato (vedi la commovente sequenza con il gigante di giada e Betty nella caverna mentre fuori imperversa un violento temporale, con Hulk che, a un certo punto, impaurito da un fulmine, ruggisce tutta la sua ira contro il cielo - più che trasparente metafora di un’umanità che non necessita di un'altezza sui tre metri e mani e piedi spropositati per schiumare verde dalla rabbia, spesso anche per propria colpa -), e a una messa in scena che non si fa pudore di porre l’accento sull’unico sentimento, l'amore, per cui valga la pena di gridare, ormai allo stremo delle forze contro quel parto di una scienza contagiata dal morbo della guerra che risponde al nome di Abominio: "Hulk spacca".

Originariamente pubblicato, fatte salve alcune modifiche, sul quotidiano il Levante nel mese di giugno 2008.

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