domenica 12 luglio 2009

Gran Torino



78 anni e non farseli pesare. Per quello che, a quanto riportano le cronache, potrebbe essere il passo d’addio al cinema come attore, Clint Eastwood sceglie un soggetto “come al solito” poco consigliabile a chi smania di affogare nel buio di una sala per accordare la libera uscita al cervello. Film da vedere con lo stato d‘animo sintonizzato sulla giusta frequenza, allora? Non proprio, dal momento che Gran Torino è, anche, opera parecchio divertente. Sì, proprio così: si ridacchia e non difetta la risata di gusto. E non potrebbe essere diversamente, dal momento che il magnifico Clint convoglia nello scostante e apertamente razzista (ma è difesa; solo e soltanto, alla fine, sgretolabile difesa) Walt Kowalski - uno che la guerra in Corea ha 'onorato' di una medaglia che da tempo, o forse dal primo giorno, ha come unica valenza quella di accompagnare le sue notti e i suoi giorni tenuto per mano da fantasmi che un tempo avevano volto e carne del 'nemico' - una eccitante sintesi dei personaggi incarnati nell’arco di cinquant’anni di luminosissima carriera, ispettore Callaghan in testa. Ed è cosa nota che Harry la carogna non si morde di certo la lingua.
Pellicola, come gran parte della filmografia eastwoodiana, implacabilmente destinata all’empireo dei classici, Gran Torino rifulge di una trascinante mezz’ora finale ritmata sulle suggestioni di una (im)possibile riconquista di un altro ieri frequentato da muli suscettibili che sempre pensavano si ridesse di loro e da poliziotti che esortavano delinquentelli di mezza tacca a farli contenti, e culminante in una 'resa dei conti' di struggente lirismo.

Nessun commento:

Posta un commento