domenica 12 luglio 2009

The Mist


Avvertenza numero uno: The Mist è un film che picchia, e forte. Astenersi spettatori dell’ultima ora o chi si vanta che più gli altri se la fanno sotto, più lui se la ride.
Avvertenza numero due: disdire la prenotazione al ristorante o in pizzeria, dal momento che sui titoli di coda si rimane atterrati, e atterriti, sulla poltrona e si aspetta solo il momento che la forza di volontà coordini i movimenti per tornarsene a casa a meditare su quanto la razza umana possa davvero risultare aberrante.
Raccomandazione unica: The Mist è maledettamente imperdibile.
Alla sua terza traduzione per il grande schermo, dopo Le ali della libertà (1994) e Il miglio verde (1999), di un’opera di Stephen King, fra i massimi autori contemporanei sui temi dell’horror e del mistero, Frank Darabont sterza nelle lande della paura più viscerale, pur senza rinunciare al lirismo magico che ha reso grandi e indimenticabili i due titoli sopra citati.
Una piccola città del Maine viene strapazzata ben bene da un temporale che lascia a ricordo alberi divelti e danni non di secondo piano. Fin qui tutto bene, può succedere.
Quella invece un po’ più fuori dall’ordinario è una grossa distesa di nebbia che avanza dal lago e che presto invade le strade, costringendo, nello specifico, un nutrito gruppo di clienti, anche forestieri, a guardare da dietro i pannelli di vetro del supermercato locale senza poter uscire.
Certo, si potrebbe tentare di raggiungere la propria auto, ma se dalla densa coltre bianca corre all’ingresso un uomo dal naso ridotto a una fontana zampillante sangue e che urla di qualcosa che ha preso il suo amico, non apparirebbe avventato rimandare il proposito. Quando poi dalla saracinesca sul retro si fanno sgraditi ospiti dei giganteschi tentacoli animati dalle peggiori intenzioni, il terrore compromette a passo sempre più spedito la razionalità. E una fanatica religiosa si dimostrerà la nemica più mortale.
Il carrello di apertura scopre una citazione e un omaggio allo stato dell’arte, visto anche il mestiere del protagonista principale, Dave Drayton, un disegnatore di manifesti cinematografici: uno dei pannelli sul muro dello studio di casa, riproducente la figura di uomo utilizzata per la locandina del film La cosa, ricorda John Carpenter, che nel 1980 terrorizzò le platee con Fog, storia di un manipolo di marinai che la bruma riporta dalla morte per vendicarsi dei discendenti degli abitanti di Antonio Bay, responsabili della loro dipartita cento anni prima; una tela in corso d’opera ossequia invece King nel ritratto di Roland, il pistolero della fortunata saga fantasy-western La torre nera.
Due generi, questi ultimi, che risaltano prepotenti, assieme alla fantascienza dei mondi paralleli, in questo film dell’orrore disturbante veramente come pochi, almeno di questi tempi di cinematografiche paure trattate a iniezioni di pixel e di ironia per un pubblico che si intende preservare da scossoni, magari non leniti da un gratificante bacio finale, che potrebbero risultare dannosi per la salute… degli incassi.
Ansiogeno scambio di suggestioni tra l’assedio di Un dollaro d'onore e quello di Distretto 13 (Carpenter, ancora), i bozzoli di Alien e Il Ciclo di Cthulhu di Howard Phillips Lovecraft, The Mist si compiace del privilegio di poter confinare cotanti illustri precedenti a mero contorno di una vicenda dove l’autentico cazzotto allo stomaco viene sferrato dalla varia umanità intrappolata nell’emporio, che vede la patina del vivere civile che fino a qualche ora prima ricopriva solida la vita di tutti i giorni, sfaldarsi e venire soverchiata da quell’egoismo e da quella crudeltà latenti comunque sottopelle e che si affrettano a marcire forte gli animi quando c’è in palio la sopravvivenza.
Quell’impronta di una mano fattasi sangue non per extraterrena volontà sulla porta di ingresso del market turberà a lungo i nostri giorni, e il prefinale, che ribalta oscenamente beffardo l’assunto portato all’Oscar da tal Roberto Benigni, non si abbandona a pietà alcuna.


Originariamente pubblicato, fatte salve alcune modifiche, sul quotidiano Il levante nel mese di ottobre 2008.

Nessun commento:

Posta un commento